News

Siamo tutti Raoul Bova… dentro il calderone della gogna mediatica

“Buongiorno essere speciale dal sorriso meraviglioso e dagli occhi spaccanti.”

 

Così, con questa frase degna di una fiction, Raoul Bova ha aperto il vaso di Pandora. Non un copione, non una battuta da set, ma un messaggino vocale inviato a Martina Ceretti, modella fino a ieri sconosciuta al grande pubblico e oggi celebrità del web. Il resto è una tempesta mediatica condita da audio rubati, telefonini sequestrati e una storia che sa più di Black Mirror che di commedia all’italiana.

 

Raoul, icona sexy e rassicurante, si ritrova ora al centro di uno scandalo degno di una puntata speciale di Temptation Island Celebrity. Ma stavolta non c’è una spiaggia, solo un telefono e una ragazza dal profilo Instagram accattivante.

 

Il copione è noto: lui fa il cascamorto in chat, lei registra tutto. Lui si lascia andare a frasi smielate quasi stucchevoli da fotoromanzo, lei archivia. E poi? Poi c’è il colpo basso, le registrazioni finiscono nelle mani di Federico Monzino, 29 anni. Un altro sconosciuto della terra di nessuno e oggi “giovane indagato” che ha passato i file a Fabrizio Corona, il re dei gossip maledetti, che li ha pubblicati su “Falsissimo”, nome che suona già come una confessione preventiva in tribunale.

 

E qui si apre il sipario sull’assurdo: un attore di 53 anni, una modella che aspira alla notorietà e un ragazzo che credeva di essere Julian Assange ma con la sim di Iliad. Un errore così ingenuo che nemmeno un uomo imbranato tradito avrebbe commesso per spiare il cellulare della compagna. Il tutto con lo zampino di un fotografo, il famigerato Corona, che dice: «Non sapevo del ricatto». Certo. E noi gli crediamo, perché non farlo.

 

Ma il punto non sono i giudizi beceri che lasciamo ad altri. Qui il problema è ben più grave: siamo tutti in pericolo. E non perché ci ricattino per una chat melliflua, ma perché viviamo in un Truman Show 2.0. La privacy non esiste più, le telecamere non sono più appese in alto, ma ce le portiamo in tasca ogni giorno.

 

Vogliamo parlare della vicenda della Kiss Cam al concerto dei Coldplay? Una coppia clandestina beccata in pieno mentre i rispettivi consorti erano a casa.  Un attimo di distrazione, una ripresa sul maxischermo, e puff: matrimonio in fumo, gruppo WhatsApp di famiglia esploso e il vicino di casa che fa l’indifferente ma condivide tutto su Facebook.

 

Insomma: che tu sia una star del cinema o un comune mortale con una birra in mano al concerto, nessuno è più al sicuro. E non è solo una questione di celebrità. È una questione di società.

Viviamo nell’era della gogna digitale, di un sistema distopico dove il like vale più della legge. Un mondo in cui il cinismo si traveste da empowerment e il ricatto diventa storytelling.

Ma attenzione: il moralismo facile è sempre dietro l’angolo. Perché se da un lato Raoul Bova ha fatto la figura del marpione vintage che ancora crede nel potere di una frase da bacio Perugina, dall’altro non possiamo accettare che l’intimità venga monetizzata così, come se le persone fossero NFT da vendere al miglior offerente.

 

La verità fa male, oggi siamo tutti potenzialmente Bova. Tutti intercettabili, tutti vulnerabili. E siamo anche potenzialmente Martina. Allora la domanda vera non è “Chi ha sbagliato?”. È: “Chi ci ha ridotti così?”.

 

E se per rispondere dobbiamo passare da un vocale cringe e una Kiss Cam assassina, forse è il momento di spegnere la fotocamera e accendere, una buona volta, il cervello.

 

Valeria Calà

 

Most Popular

Torna su