Le parole “rot” e “rotting”, marcio e marcendo, sono ormai entrate nel vocabolario di tutti i giorni. Il fenomeno di quest’anno si chiama come “Italian brainrot”, il suo nome , se si elimina l’aggettivo, che riguarda specificamente quei mostriciattoli antropomorfi di cui esistono in Italia figurine e magliette, è anche la parola dell’anno 2024, secondo l’Oxford Dictionary.
Il rot, il marciume, non è soltanto un’etichetta, che fa cantare a voce alta cose come Ballerina cappuccina o Trallallero Trallalà senza alcuna paura di essere presi per matti. Il marciume è oggi, più che altro, un sentimento, un connotato di molta parte delle nostre esistenze.
Siamo capaci di sentirci marci, perché siamo in grado di restare per ore, per giorni, nello stesso posto, facendo sempre un’unica ripetitiva azione: scrollare il feed dei social a cui siamo iscritti, rimanere appiccicati allo schermo del nostro smart phone.
Le ore che passiamo in maniera vegetativa ci fanno provare quello che succede alle verdure o ai frutti, se restano dimenticati, se cadono dall’albero perché troppo maturi: si deteriorano, sgualciscono fino a sparire.
E se già sembra un po’ preoccupante, a chi utilizza Tik Tok non sarà sfuggito che il rotting o, meglio, il “bed rotting” è diventato quasi una vera tendenza per la Gen Z.
Sempre tirata in ballo, come generazione dei giovani per antonomasia, è quelle che, per sua stessa ammissione, è la più vulnerabile alla pressione della società. E per questo, il marcire in qualche posizione comoda per tutto il giorno, e forse anche due se si tratta del weekend, è proprio un bisogno, un bisogno strano, che, se soddisfatto, genera uno stato di malessere biologico.
Quelli che dovrebbero essere “i giovani” in senso assoluto, quelli che la vita dovrebbero godersela, che sono l’immagine della vita stessa perché ancora un cammino aperto, decidono di chiudersi dentro le loro stanze e mettere in pausa le loro esperienze, per farne una sola: una passiva visione di sequenze, di frammenti, di vita di altri.
L’isolamento, in questa ripetitività eventuale, è dietro l’angolo, e ormai molto diffuso. Essere da soli è una consapevolezza che la Gen Z sembra conoscere fin troppo bene, e che, alla fine, paradossalmente, abbraccia, perché stare da soli è meno faticoso dello stare con gli altri, in un mondo in cui le relazioni appaiono poco autentiche, e il mondo sembra un luogo anzitutto inospitale, e poi troppo pretenzioso e opprimente rispetto a quello che regala in cambio.
“Marcire a letto” davanti a Trallallero Trallallà, sembra, da questo punto di vista, non più solo l’atteggiamento svogliato di qualcheduno che non sappia cosa vuole e preferisce annullarsi
davanti al cellulare. È un fenomeno complesso, la cui vittima è una generazione che sente di vivere col freno a mano, ma non riesce ad accelerare.
Che trovi la forza dentro se stessa, è una risposta troppo semplice alla domanda “come uscirne”. Che la società cambi, con le sue pressioni e preoccupazioni legate a guerre, cambiamenti climatici, è forse utopico, o comunque un processo lento.
Che collettivamente si trovi una via d’uscita, almeno per reagire alla tendenza a chiudersi sotto le coperte invece di passare un pomeriggio in compagnia, può essere un inizio.
E comunque, il nome Bombardiro Croccodilo è geniale.
Emma Traversi
